L’ULTERIORE RIALZO DEI TASSI D’ INTERESSE BANCARIO CHE INCIDE SUI MUTUI CASA

La Banca Centrale Europea, per la decima volta in meno di dodici mesi, ha alzato i tassi di interesse (erano rimasti sostanzialmente stabili per anni, ma dal mese di luglio 2022 sono stati rialzati dello 0,50%, a settembre e ottobre di 0,75% e a dicembre ancora di 0,5% e poi, nel 2023 c’è stato un ulteriore aumento dello 0,5% a febbraio e marzo, dello 0,25% a maggio e sempre dello 0,25% a giugno e a luglio e, da ultimo, anche nel mese di settembre).
Il tasso ora è giunto a quota 4,5%.
Le politiche adottate dalla BCE hanno il chiaro obiettivo di limitare la crescita dell’inflazione e di riportarla sotto la soglia del 2% e il 2024 dovrebbe essere l’anno in cui le scelte monetarie determineranno gli effetti sperati, ovvero in cui i costi dei mutui torneranno a scendere (probabilmente dopo il primo semestre). Ma si tratta, ovviamente, solo di ipotesi.
L’aumento dei tassi ha effetti evidenti ed immediati sulle rate dei mutui a tasso variabile e su quelli da stipulare con tasso fisso. I tassi dei mutui, tra l’altro, riflettendosi sul costo del denaro e sui finanziamenti bancari, determinano anche l’andamento dell’economia considerato che vanno a fissare l’evoluzione del mercato immobiliare proprio a causa dei prezzi del denaro.
L’aumento dei tassi ha reso l’accesso al credito più complicato, ma anche chi ha già stipulato un mutuo ha subito conseguenze. Molte famiglie si sono trovate in una situazione di stress economico, rendendo difficile il rispetto dei pagamenti previsti dai mutui. L’aumento degli importi delle rate dei mutui a tasso variabile sta determinando anche il sorgere di nuovi insoluti. Ed è ragionevole ipotizzare che si accresceranno anche le ipotesi di risoluzioni contrattuali, le esecuzioni immobiliari ed i relativi contenziosi.
A corollario, ancora una volta, va evidenziata l’importanza che riveste la procedura di “sovraindebitamento” per tutti coloro – anche riuniti in gruppi familiari – che non ce la fanno più a sostenere le spese di mutui e finanziamenti, così aumentate e che, magari si sommano ad altri debiti.

LA MEDIAZIONE DOPO LA RIFORMA CARTABIA CON RIFERIMENTO ALLA MATERIA DEL TURISMO

In ambito turistico possono insorgere svariate controversie a causa di disservizi o inadempimenti che nei confronti dei consumatori generano responsabilità sia patrimoniali (il danno economico, che si riscontra, ed esempio, a seguito della perdita del bagaglio o di una coincidenza mancata che costringa a comprare un altro biglietto o a trascorrere una notte in hotel), che non patrimoniali (il cosiddetto ‘danno da vacanza rovinata’ cioè il disagio psicofisico conseguente al mancato godimento del periodo di riposo e svago così come era stato programmato, quindi un danno avente declinazioni biologiche, morali ed esistenziali).
In questo campo era già ammesso il ricorso alla mediazione volontaria dalla legge 29 marzo 2001, n. 135 di riforma della legislazione nazionale del turismo, per la tutela dei soggetti che accedono ai servizi offerti in questo strategico settore economico.
Ma è importante sapere che dal 1 gennaio 2023, in base alla l.n. 188/22, è entrato in vigore l’obbligo di mediazione per le controversie relative ai trasporti; in particolare per quanto riguarda il turismo si applica a tutto l’amplissimo contenzioso relativo all’applicazione del Reg. (EC) 261/04 (Carta dei diritti del passeggero) sia quale servizio singolo sia con riferimento ai c.d. pacchetti viaggio, in quest’ultimo caso qualora il danno richiesto si limiti alla compensazione pecuniaria fissa (250, 400 o 600 euro a seconda della lunghezza tratta aerea) per annullamenti/ritardi. E, comunque, la mediazione rimane liberamente esperibile per ogni altra vicenda che abbia ad oggetto diritti disponibili, consentendo alle parti di evitare il ricorso al Giudice e senz’altro tale buona prassi di mediazione è prevedibile che si espanderà a molteplici casi, anche se non strettamente obbligatori per legge.
In ambito giuridico, l’art. 67 del Codice del Turismo, richiamando il Codice del Consumo, ha introdotto una disciplina specifica per l’applicazione della mediazione alle controversie relative ai servizi turistici, prevedendo che il cliente possa tentare la via della conciliazione con il concessionario-organizzatore prima di rivolgersi ai tribunali. Dal punto di vista formale, l’acquisto di un pacchetto turistico in agenzia è un’operazione che coinvolge tre soggetti: il tour operator, il quale realizza la combinazione degli elementi del pacchetto; l’agenzia che lo colloca sul mercato ed il consumatore finale.
La normativa vigente attualmente allarga il concetto di servizi turistici, che finalmente includono anche le combinazioni “personalizzate”, cioè i servizi alberghieri acquistati via web insieme al biglietto aereo sui siti della compagnie aeree entro 24 ore. La nuova disciplina obbliga, inoltre, gli operatori a fornire informazioni più chiare per i viaggiatori sul tipo di prodotto acquistato ed, infine, introduce una nozione di “servizi turistici collegati”, applicabile a più combinazioni di servizi. Il viaggiatore, ai sensi degli Artt. 1175 e 1375 del codice civile, deve informare l’organizzatore, direttamente o tramite il venditore, tempestivamente, tenuto conto delle circostanze del caso, di eventuali difetti di conformità rilevati durante l’esecuzione di un servizio turistico previsto dal contratto di pacchetto turistico. Il decreto indica un termine di prescrizione di due anni, che diventano tre nel caso i danni siano alla persona a decorrere dalla data del rientro del viaggiatore nel luogo di partenza. Gli operatori turistici stabiliti sul territorio nazionale sono tenuti a dotarsi di un contratto di assicurazione per la responsabilità’ civile a favore del viaggiatore per il risarcimento dei danni derivanti dalla violazione dei rispettivi obblighi assunti con i rispettivi contratti (Art. 47 D.lgs 62/2018). I viaggiatori possono, anche, sottoscrivere in maniera facoltativa o obbligatoria un’assicurazione che copra le spese di recesso unilaterale dal contratto o le spese di assistenza, rientro od infortunio, malattia o decesso. La mediazione è obbligatoria in materia di contratto di assicurazione e ciò aggiunge una tutela più accessibile e meno costosa, con il vantaggio per entrambi di raggiungere un accordo soddisfacente in tempi brevi

CANCELLARE I DEBITI PER RIPARTIRE CON NUOVA ENERGIA

Cancellare i debiti: quale migliore rinascita che quella di liberarsi finalmente dai debiti che impediscono una vita serena? Equitalia ( ora ADER) continua ad inviare ingiunzioni di pagamento, ma come cancellare i debiti con Equitalia? Cancellare i debiti con Equitalia ( ora ADER) si può, esiste una legge per cancellare i debiti, lo sapevate? Purtroppo questa legge che consente di cancellare i debiti è pressochè sconosciuta ai più.

Essere finalmente tranquilli sapendo che la morsa dei debiti è finita significa ricominciare a fare progetti.

Una energia nuova che cambia letteralmente la condizione psicologica delle persone.

Le persone alle quali parlo del sovraindebitamento e spiego che ci sono procedure legali per mezzo delle quali liberarsi dal peso dei debiti, cancellandoli letteralmente, al primo impatto sono giustamente increduli.

Alcuni credo siano arrivati a credere che stessi dicendo delle fandonie.

Invece è tutto vero.

Il Codice della crisi di impresa regola le procedure attraverso le quali i soggetti non fallibili  possono ottenere dal Tribunale la liberazione dai debiti che non riescono a pagare.

Chi sono i soggetti non fallibili? privati, piccoli imprenditori, artigiani, start up, imprenditori agricoli.

Queste procedure riguardano tutte le tipologie di debiti: cartelle esattoriali, debiti con agenzia entrate ed inps, debiti con banche e finanziarie, debiti con privati; fanno eccezione unicamente i debiti alimentari e di obbligo al mantenimento, e quelli dovuti a ragioni risarcitorie derivanti da fatto illecito extracontrattuale, nonché per le sanzioni penali e amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti.

Lo Studio Legale Palmiero & Partners ha aiutato e sta aiutando tante persone a scrollarsi del peso dei debiti.

Siamo a disposizione di tutti per spiegare le opportunità del Codice della Crisi di Impresa, e siamo disponibili anche all’assistenza con gratuito patrocinio, ove ne sussistano le condizioni di Legge.

Potete telefonare al 3387527671 per avere informazioni; potere anche  fissare un appuntamento in studio o in videoconferenza, assistiamo su tutto il territorio nazionale

DEBITI NON DICHIARATI NELLA PROCEDURA DI LIQUIDAZIONE CONTROLLATA: QUALI CONSEGUENZE?

Accade spesso, che anche in perfetta buona fede il debitore istante non dichiari una o più posizioni debitorie durante la una procedura da sovraindebitamento.

Vediamo cosa accade in particolare per la liquidazione controllata.

Nonostante l’impegno non sempre il Liquidatore nominato può avere contezza di tutte le poste debitorie.

Cosa succede dunque se uno o più creditori non ricevono l’avviso dell’apertura della procedura?

E’ bene anticipare che non siste una norma specifica al riguardo, occorre quindi applicare analogicamente quanto previsto nelle procedure fallimentari.

In quelle, come del resto nelle procedure da sovraindebitamento, il Giudice dispone le forme ritenute più opportune di pubblicità della procedura stessa: ciò comporta, a parere nostro, una presunzione di conoscenza della procedura da parte di tutto il ceto creditorio.

Questo è sufficiente ad escludere, soprattutto ove la circostanza non dipenda da una scelta consapevole del debitore istante, che la mancata comunicazione ad uno o più creditori possa inficiare la validità e l’esito esdebitatorio della liquidazione controllata.

Come per il fallimento, il creditore non raggiunto da specifica comunicazione ed escluso dalla procedura, per qualsivoglia ragione, conserverà nei confronti del debitore le sue ragioni creditorie nel limite di quanto i creditori di pari grado abbiano ricevuto in seno alla liquidazione controllata stessa; per fare un esempio, se nella liquidazione i creditori chirografari hanno ricevuto il 15% dei propri crediti, il credito di quello escluso si conserverà nei confronti del debitore istante in pari misura.

Ecco dunque che appare di assoluta importanza per gli interessati operare un’attenta ricerca rispetto alle proprie posizioni debitorie, al fine di evitare che in esito alla liquidazione controllata possano rimanere in capo loro dei debiti ancora da sanare.

La misura è equa: i creditori sono incentivati a partecipare alla procedura di liquidazione al fine di non compromettere le loro ragioni creditorie.

 

LA SORTE DELLE PROPRIETÀ IMMOBILIARI NELLA LIQUIDAZIONE CONTROLLATA (EX LIQUIDAZIONE DEL PATRIMONIO)

Come abbiamo già visto negli scorsi articoli i soggetti debitori non fallibili possono accedere ai fini della loro esdebitazione, vale a dire della cancellazione dei debiti non pagati e che non è possibile pagare per incapienza, a diverse procedure da sovraindebitamento.
Tra queste la più – potremmo dire – ‘gettonata’ è la liquidazione controllata; nella liquidazione controllata il soggetto istante pone a disposizione dei creditori tutti i suoi beni mobili ed immobili al fine di poter soddisfare per quanto possibile i creditori stessi.
Cosa succede dunque se una persona che accede alla liquidazione controllata è proprietaria di uno o più beni immobili? Oppure cosa succede se è invece proprietaria di una quota immobiliare? Le soluzioni possono essere diverse, ma in ogni caso la proprietà immobiliare, anche per quota, va liquidata in seno alla procedura di liquidazione controllata e spetta al liquidatore nominato dal tribunale la gestione dell’attività liquidatoria ai fini del ricavo dell’attivo da distribuire al ceto creditorio.
E’ comunque anche  possibile ottenere che gli immobili vengano ceduti, con l’autorizzazione del giudice delegato, a soggetti terzi che offrono di pagare il valore commerciale del bene stesso, ad esempio dei familiari; è necessario  in tal caso far redigere e produrre una perizia estimativa giurata dell’immobile, o anche della sola quota immobiliare, in modo tale che sia certo per il tribunale e per i creditori che quel bene immobile venga ceduto a prezzo congruo ai fini della liquidazione.

La vendita a terzi interessati, sia dell’immobile per intero sia della quota immobiliare appartenente  al soggetto debitore istante, consente in molti casi anche di mantenere il cespite nel patrimonio familiare, poiché tutti, ad eccezione del soggetto debitore istante, possono proporsi acquirenti.

Nel caso in cui un terzo soggetto si offra di acquistare un immobile ( o quota) del debitore, il giudice delegato normalmente disporrà che il liquidatore pubblichi un invito ad offrire:  il liquidatore pubblicizzerà il bene in vendita, il prezzo di vendita, sì che tutti gli eventuali interessati possano eventualmente effettuare offerte; in caso di più offerte  si disporrà una vera e propria gara tra gli offerenti, come normalmente avviene nelle aste delle esecuzioni immobiliari.
Cosa succede invece se  uno o più beni immobili ( o quote di essi) rimangono invenduti nella procedura di liquidazione?
Nella vecchia liquidazione del patrimonio questa evenienza avrebbe costituito un grave intralcio per il soggetto debitore per la chiusura della procedura di liquidazione, che sarebbe rimasta aperta fin tanto che il o i beni immobili non fosse/fossero venduti; in questo modo purtroppo l’effetto esdebitatorio veniva procrastinato per diverso tempo, spesso per anni, con evidenti ripercussioni negative sul soggetto istante.
Invece, nella liquidazione controllata attualmente disciplinata dal codice della crisi di impresa questa eventualità non si pone, siccome la norma prevede che decorsi  tre anni dall’apertura della procedura il debitore possa comunque richiedere ed ottenere l’esdebitazione; così la presenza di eventuali beni immobili invenduti non pregiudica gli interessi ai fini esdebitatori del soggetto debitore, si prevede soltanto che la procedura continui per concludere la liquidazione stessa dei beni ancora invenduti.
In questo modo non si pregiudicano nè gi interessi del debitore nè quelli dei creditori.

LE PROCEDURE PER CRISI DA SOVRAINDEBITAMENTO COME RISORSA PER LE FAMIGLIE CONTRO IL RIALZO DEI MUTUI E DEI FINANZIAMENTI ED ANCHE DELL’AUMENTO DELLE SPESE

Nel 2023 sono saliti vertiginosamente i prezzi di beni e servizi e, conseguentemente, sono aumentate tutte le spese familiari, tra cui quelle condominiali.

E, come nelle attese, è proseguita la stretta della politica monetaria della BCE per il contrasto all’inflazione. In particolare, l’Istituto centrale nella riunione del 4 maggio ha alzato i tassi di interesse di 25 punti base, con decorrenza dal 10 maggio 2023.

Ciò comporta che le famiglie che abbiano già acceso mutui a tasso variabile vedranno ulteriormente aumentare ed in maniera consistente la rata mensile. E anche i nuovi mutui risultano notevolmente più cari del 61 % rispetto all’anno 2022. In più, il rialzo dei tassi Bce deciso il 4 maggio 2023 potrebbe non essere l’ultimo.

La notizia è stata pubblicata da tutti i media: in particolare ne ha parlato al TG3 Lombardia del 19 maggio 2023 la Presidente dell’Ordine dei Commercialisti di Milano, Dott.sa Marcella Caradonna, la quale, dando atto delle ingenti difficoltà che si stanno prospettando per le famiglie italiane, ha caldeggiato il ricorso alle procedure di sovraindebitamento

Infatti, il nuovo “Codice della Crisi” ha introdotto la possibilità di instaurare le c.d. “procedure familiari”, cioè i membri della stessa famiglia possono presentare un unico progetto di risoluzione della crisi da sovraindebitamento quando sono conviventi o quando il sovraindebitamento ha un’origine comune. A tal fine, oltre al coniuge, si considerano membri della stessa famiglia i parenti entro il 4° grado e gli affini entro il 2°, nonché le parti dell’unione civile e i conviventi di fatto di cui alla L. 20.05.2016, n. 76. La procedura è unica anche nel caso in cui le masse attive e passive rimangono distinte e se sono state presentate richieste distinte riguardanti membri della stessa famiglia, le procedure vengono riunite davanti il primo giudice interpellato.

La disciplina relativa alla procedura familiare è quella dettata per il consumatore, pertanto, è necessario rivolgersi ad un Organismo per la composizione delle crisi, al fine di proporre ai creditori un piano di ristrutturazione dei debiti che indichi in modo specifico tempi e modalità per superare la crisi da sovraindebitamento. La proposta ha contenuto libero e può prevedere il soddisfacimento, anche parziale, dei crediti in qualsiasi forma, ovvero la riduzione e la ristrutturazione dei debiti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione ecc.

L’importanza di tale previsione sta nel fatto che il costo dovuto quale compenso all’Organismo di composizione della crisi è ripartito tra i membri della famiglia richiedenti in misura proporzionale all’entità dei debiti di ciascuno.

CANCELLARE I DEBITI CON LA LIQUIDAZIONE CONTROLLATA DEL PATRIMONIO

Nei nostri precedenti articoli abbiamo già illustrato le opportunità che il Codice della Crisi di Impresa ( come già prima la L. 3/12) pone a favore della grande platea dei soggetti indebitati non fallibili (professionisti, start up, piccoli imprenditori e artigiani, società di persone sotto soglia, aziende agricole).

Vogliamo ora analizzare nelle prossime pubblicazioni una ad una le procedure da sovraindebitamento.

Cominciamo con la procedura più diffusa: la liquidazione controllata del patrimonio.

CHE COS’E

Consiste in una domanda da rivolgere al Tribunale competente per residenza con la quale il debitore mette a disposizione dei creditori il proprio patrimonio con il fine della soddisfazione ( per quanto è possibile) delle posizioni debitorie, e la cancellazione definitiva di quelle che non è possibile pagare.

Occorre premettere che – sebbene sembrerebbe il contrario – questa procedura comporta dei grandi benefici nell’affrontare le spese quotidiane del vivere per il soggetto sovraindebitato e per la sua famiglia: mentre infatti solitamente  le persone con tanti debiti si trovano lo stipendio (o reddito mensile) eroso da cessioni del quinto e pignoramenti, fino alla vera indigenza, nella procedura di liquidazione controllata riacquisteranno il loro potere di spesa: questo perchè dopo l’apertura della liquidazione le trattenute sullo stipendio, così come i pignoramenti, cessano obbligatoriamente, e dunque il debitore si ritrova il proprio stipendio ( o reddito) pieno.

QUANTO DURA

La procedura dura tre anni, dopo i quali si può chiedere l’esdebitazione e cesserà qualsiasi sacrificio economico del soggetto; la procedura potrebbe proseguire per esigenze tecniche ( ad esempio la vendita di un immobile) ma per l’interessato il risultato della cancellazione dei debiti potrà realizzarsi subito, alla scadenza dei tre anni.

LA SALVAGUARDIA DEL REDDITO DELL’INDEBITATO

Il Giudice stabilirà, sulla base delle esigenze di spesa del singolo ( e della sua famiglia), e quindi caso per caso, la quota parte dello stipendio che NON potrà essere attinto dalla procedura, destinando solo  il residuo ( nei limiti del quinto pignorabile nel caso di lavoratori subordinati o pensionati) alla procedura; per decidere questo importo  il Giudice si basa sulla esposizione e documentazione di spesa che l’interessato depositerà in Tribunale, e terrà conto di tutte le esigenze del debitore istante ( anche della famiglia).

Pertanto l’indebitato potrà affrontare tranquillamente le spese quotidiane necessarie a sè ed ai propri cari.

Dove non ‘avanzasse’ nulla per la procedura la domanda potrà essere presentata ugualmente. Non esistono importi minimi da versare alla procedura di liquidazione, pertanto non ha rilievo ‘quanti debiti’ potranno essere pagati alla fine dei tre anni.

Facciamo degli  esempi concreti:

esempio 1)

Tizio, lavoratore subordinato, ha uno stipendio di € 1500,00 netti mensili, espone  spese ( alimenti, bollette, affitto, farmaci e spese mediche,  spese per vestiario e imprevisti, ecc.) per € 1300,00: la differenza di € 200 mensili verrà versata da Tizio alla procedura per la durata di tre anni;

esempio 2)

Caio ha un reddito di € 1500,00 netti mensili, espone  spese ( alimenti, bollette, affitto, farmaci e spese mediche,  spese per vestiario e imprevisti, ecc.) per € 1500,00: alla procedura non verrà versato nulla;

esempio 3)

Sempronio, lavoratore subordinato, ha uno stipendio di € 1500,00 netti mensili, espone  spese ( alimenti, bollette, affitto, farmaci e spese mediche,  spese per vestiario e imprevisti, ecc.) per € 1000,00: alla procedura verrà versato per la durata di tre anni l’importo pignorabile, pari ad un massimo del quinto di stipendio, e dunque non 500,00 euro mensili ( € 1500 – € 1000) bensì soltanto € 300,00.

COME SI PRESENTA LA DOMANDA

Si chiede anzitutto la nomina di un Gestore della Crisi ad uno degli organismi di composizione della crisi ( OCC) presenti sul territorio: il Gestore è una figura obbligatoria per Legge, ed una volta aperta la procedura di solito è il soggetto che viene nominato Liquidatore, vale a dire quella persona che gestirà di fatto la liquidazione, raccogliendo l’attivo e distribuendolo ai creditori.

LE PROCEDURE FAMILIARI

Quando ad essere indebitati sono più soggetti di una medesima famiglia ( o perchè i debiti sono comuni o soltanto perchè vi sono più soggetti diversamente indebitati ma tra loro parenti e conviventi), può essere richiesta un’unica procedura, con risparmio di tempi e costi.

QUALI SONO I DEBITI CHE SI CANCELLANO A SEGUITO DELL’ESDEBITAZIONE

La cancellazione ( esdebitazione) dei debiti riguarda pressocchè tutte le possibili posizioni debitorie:

  • cartelle esattoriali, multe, debiti fiscali e tributari, debiti verso enti locali;
  • mutui, finanziamenti, scoperti di conto corrente;
  • debiti verso creditori privati: il proprietario di casa, il condominio, professionisti ecc

NON vengono invece cancellati i debiti concernenti alimenti e mantenimento ( es. il mantenimento dell’ex coniuge o dei figli) ed i debiti nati  a titolo risarcitorio ( es. incidente stradale).

QUALI BENI VENGONO LIQUIDATI

Abbiamo già illustrato tutto quanto concerne la gestione delle entrate reddituali del soggetto debitore;

nella liquidazione controllata, tuttavia, tutti i beni dell’istante sono appresi dalla procedura: beni immobili ( anche prima casa), beni mobili registrati ( automobili ecc.), beni di valore significativo ( titoli in deposito, residuo del conto corrente alla data di apertura della liquidazione, quadri di valore, gioielli, ecc); il debitore può chiedere che dalla liquidazione vengano esclusi beni di particolare valore affettivo o morale ed anche beni che sono necessari per l’attività lavorativa o per necessità familiari importanti ( ad esempio l’automobile se necessaria agli spostamenti di lavoro).

QUANTO DURA E QUANTO COSTA

Abbiamo già accennato al fatto che la procedura in generale dovrebbe durare tre anni; vi sono situazioni nelle quali questo termine potrebbe slittare, tuttavia allo scadere dei tre anni il soggetto debitore potrà richiedere l’esdebitazione ed in generale cesserà l’obbligo di corresponsione mensile ( se sussiste) alla procedura.

I costi della procedura dipendono dall’entità dell’attivo e del passivo, quindi sono variabili, è possibile chiedere un preventivo, sia all’organismo di composizione della crisi che ovviamente al proprio legale o consulente.

Per quanto concerne le spese legali è possibile essere ammessi al GRATUITO PATROCINIO se ne sussistono le condizioni reddituali.

IL FENOMENO DEL SOVRAINDEBITAMENTO DELLE DONNE VITTIME DI VIOLENZA

Nella nostra attività quotidiana incontriamo tante donne che si trovano piene di debiti in conseguenza di una condizione di violenza di genere: la violenza sulle donne, difatti, non è come si può pensare soltanto violenza fisica o verbale, si manifesta in tanti modi, anche come violenza economica.

Assistiamo numerose donne che a causa della dipendenza psicologica ed in generale della situazione di violenza domestica che si sono trovate a vivere a causa dei loro compagni o dei loro mariti hanno dovuto accettare di concedere garanzie e coobbligazioni in favore di questi ultimi: in questo modo, quando il loro uomo si rende inadempiente e non paga i debiti si trovano loro stesse nella morsa debitoria, e spesso sono sono loro che ci rimettono.

E’ importante pertanto a nostro avviso, quando si rappresenta una donna sovraindebitata, ricostruire anche a beneficio del Giudice la storia di questa, affinchè la sua condizione sia compresa, ed anche al fine di sensibilizzare sempre di più sul tema della violenza economica.

In queste tristi situazioni non sono solo le donne a pagarne il prezzo, ma anche i figli, che spesso restano con le madri nella separazione dei loro genitori, e che si trovano in questo modo a vivere gravi ristrettezze economiche: aiutare queste donne sfortunate significa aiutare anche i loro figli, bambini o giovani che altrimenti subirebbero la stessa condizione della madre, con esiti a livello psicologico e sociale non prevedibili.

 

 

ANCHE IL FALLITO NON ESDEBITATO PUO’ ACCEDERE ALLE PROCEDURE DA SOVRAINDEBITAMENTO

Ormai pare ammessa la possibilità anche per l’imprenditore o socio fallito, che non ha chiesto a seguito della chiusura del fallimento l’esdebitazione ( vale a dire la cancellazione dei debiti residuati dal fallimento) di poter accedere – successivamente – ad una delle soluzioni offerte dal Codice della crisi di Impresa e di potersi così esdebitare come soggetto non fallibile.

Quando è possibile? Quando il fallimento è chiuso da oltre un anno, poichè decorso quel tempo il fallito ritorna ad essere un soggetto NON fallibile.

Il riconoscimento di tale opportunità pare largamente condiviso in dottrina, e vede anche delle prime pronunce giurisprudenziali:  il Tribunale di Torino ( decreto del 13.04.2021)  ha ritenuto ammissibile una proposta di accordo di composizione della crisi ex art. 7 e ss. L. 3/12, depositata da un debitore dichiarato fallito in quanto socio illimitatamente responsabile di una società di persone, già precedentemente dichiarata fallita.

Il decreto del Tribunale di Torino ha statuito che: “…le circostanze enunciate non appaiono ostative all’ammissibilità della proposta di accordo di composizione della crisi ex L. n. 3/2012, in quanto, a seguito della chiusura del fallimento, la società è stata cancellata e, in assenza di una ripresa di attività, non sussiste alcun ostacolo soggettivo all’accesso alle procedure di sovraindebitamento ….

In particolare il Giudice osserva che il debitore istante: … è stato soggetto a fallimento e la relativa procedura si è chiusa, inoltre è decorso il termine stabilito dall’art. 121 L.F. così che non sarebbe neppure in ipotesi possibile la riapertura del fallimento”: ergo, si tratta di soggetto non più sottoposto alle procedure concorsuali e dunque ammissibile a quelle da sovraindebitamento. 

La pronuncia è di particolare interesse, anche perchè va nell’ottica di riammettere nel circuito economico una vasta schiera di soggetti che evidentemente ne sarebbero esclusi in quanto schiacciati dalle posizioni debitorie.

 

 

EPOCALE SENTENZA DELLA CASSAZIONE SUI PIGNORAMENTI IMMOBILIARI

SS. UU 6 aprile 2023 n. 9479

L’importante sentenza delle Sezioni Unite n. 9479/2023 affronta il tema dell’esecuzione forzata fondata su titolo costituito da decreto ingiuntivo non opposto,  problema posto da diverse pronunce della CGUE, emesse dal Collegio della Grande Sezione in data 17 maggio 2022 , delle quali ricordiamo che una consegue ad una pronuncia di  rinvio pregiudiziale disposta dal Tribunale di Milano che ha così statuito: «… se l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell’esecuzione non possa – per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità – successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole. Nella causa C-831/19, esso chiede altresì se la circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come «consumatore» ai sensi di tale direttiva abbia una qualsivoglia rilevanza al riguardo».

La straordinarietà della pronuncia della Cassazione in commento sta anche nel fatto che è avvenuta pur avendo il consumatore ricorrente rinunciato al ricorso con il quale la questione era giunta alla S.C.; il consumatore in parola, dopo aver subìto il pignoramento  di un immobile, aveva sollevato solo  in fase di distribuzione eccezione sul titolo sul quale la stessa esecuzione si fondava, pur essendo detto decreto ingiuntivo ormai ovviamente definitivo in quanto non opposto; l’eccezione concerneva  l’ incompetenza per territorio del giudice che lo aveva emesso.

La rinuncia del ricorrente non ha impedito alla Corte, anche a seguito dell’estinzione del giudizio di legittimità, di pronunciare d’ufficio ex art. 363, comma 3, c.p.c., nel rispetto della funzione nomofilattica della Suprema Corte.

Le SS.UU.  hanno così  enunciato diversi principi di diritto, dei quali riassumiamo quelli ritenuti di preminente interesse per la platea dei consumatori:

  1. nella fase monitoria il giudice deve svolgere, d’ufficio, il controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore in relazione all’oggetto della controversia; ciò anche integrando gli elementi di fatto e di diritto esposti dalla parte mediante il potere istruttorio d’ufficio, ed all’esito del controllo, ove rilevi l’abusività della/e clausola/e dovrà rigettare o accogliere solo parzialmente il ricorso stesso;
  2. se, invece, il controllo sull’abusività delle clausole incidenti sul credito azionato in via monitoria desse esito negativo, dovrà pronunciare decreto motivato, ai sensi dell’art. 641 c.p.c., ed il decreto ingiuntivo dovrà contenere  l’avvertimento indicato dall’art. 641 c.p.c., nonché l’espresso avvertimento che in mancanza di opposizione il debitore consumatore non potrà più far valere l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile;
  3. nella fase esecutiva il giudice dell’esecuzione ove non fosse indicata la motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell’abusività delle clausole, ha il dovere – da esercitarsi sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito – di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull’esistenza e/o sull’entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo, anche attraverso una eventuale istruttoria sommaria ove necessaria;
  4. l’esito di tale controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole deve essere dal GE comunicato alle parti ed al debitore esecutato, avvisandolo che entro 40 giorni potrà proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 650 c.p.c. per fare accertare l’eventuale abusività delle clausole, con effetti che potremmo a tutti gli effetti ritenere sospensivi della procedura esecutiva, poichè di fatto si sospende il potere del GE a pronunciarsi sulla vendita o sull’assegnazione del bene  sino alla definizione di quel giudizio;
  5. altrettanto, la procedura esecutiva dovrà essere ‘sospesa’ ( nel senso sopra indicato) ove il debitore abbia proposto opposizione esecutiva per far valere l’abusività di una clausola, ed in tal caso il GE dovrà concedere termine di 40 giorni per proporre l’opposizione tardiva;
  6. nella fase di cognizione ( ex art. 650 c.pc.) il Giudice  investito dell’opposizione sotto profilo di abusività delle clausole contrattuali, potrà sospendere l’esecutorietà del decreto ingiuntivo, in tutto o in parte;

La portata innovativa di questa articolata pronuncia ( molto più articolata del nostro riassunto) va nella direzione della creazione di nuovo diritto in favore dei consumatori, in quanto stravolge anche le regole dell’opposizione tardiva al decreto ingiuntivo, ammessa sinora solo per irregolarità della notificazione del decreto, caso fortuito o forza maggiore, e non  più ammessa decorsi dieci giorni dal primo atto di esecuzione.

Si creano dunque presupposti diversi di opposizione ed anche di ‘sospensione’ dell’esecuzione (sebbene diversa da quella normata dall’art. 624 c.p.c.), più simile ad una dilazione,  determinata da un giudizio pregiudiziale del GE, il quale, intravedendo ragioni di opposizione tardiva, non può provvedere sull’opposizione esecutiva.

Certamente molto altro si dirà e si scriverà a seguito dell’applicazione sul piano processuale dei principi enunciati con questa rivoluzionaria sentenza della Cassazione: ci pare tuttavia di poter dire che l’evoluzione del diritto, anche sul piano processuale,  sembra andare sempre più nell’ottica di protezione dei soggetti ‘deboli’ sul piano contrattuale, creando opportunità di difesa più libere da rigide forme processuali, e rivolte ad una tutela sostanziale di questi soggetti.

Non possiamo fare a meno – visto che il nostro studio si occupa per la gran parte di sovraindebitamento – di fare un collegamento tra questa pronuncia e le norme di diritto innovative che ormai dal 2012 consentono ai soggetti sovraindebitati di liberarsi dal fardello dei debiti, norme che riconosciamo avere una valenza di giustizia sociale.

Invitiamo i soggetti interessati da procedure esecutive in corso a sottoporci la loro personale situazione, in modo da verificare se sussistano eventualmente  elementi di opposizione nei termini di cui alla pronuncia in commento.