Sovraindebitamento e Crediti Prelatizi: La Cassazione e la Dilazione dei Pagamenti

La Cassazione civile, con la sentenza n. 34150 del 23 dicembre 2024, ha chiarito un importante aspetto riguardante il sovraindebitamento nelle procedure di ristrutturazione del debito, stabilendo che anche i crediti prelatizi possono essere oggetto di una dilazione di pagamento oltre il termine annuale, ma solo se ai creditori viene garantita la possibilità di esprimersi sulla convenienza del piano.

Cosa sono i crediti prelatizi?
I crediti prelatizi sono quei crediti che, in caso di insolvenza del debitore, hanno priorità rispetto ad altri nel soddisfacimento. Si tratta, per esempio, dei crediti tributari, quelli relativi agli stipendi dei dipendenti o alle indennità di fine rapporto. Questi creditori sono preferiti nella distribuzione dei beni in caso di liquidazione.

Nel vicenda esaminata, il Tribunale ha accettato una dilazione del pagamento dei crediti prelatizi oltre i dodici mesi, ma solo a condizione che i creditori possano esercitare un controllo sulla “convenienza del piano”. In pratica, i creditori hanno il diritto di contestare la durata del piano se ritengono che non sia adeguato rispetto agli interessi economici loro garantiti. Un creditore in questo caso aveva contestato la lunghezza del piano di ristrutturazione (quattordici anni), ritenendola eccessiva rispetto agli interessi della sua società. Tuttavia, il giudice ha ritenuto che la durata del piano non fosse incompatibile con l’obiettivo di garantire al debitore una “seconda chance”, soprattutto considerando che il mutuo originario prevedeva una durata simile.

Questo approccio conferma un principio fondamentale: l’equilibrio tra il diritto del debitore a ristrutturare i propri debiti e la protezione degli interessi dei creditori.

In breve La Cassazione ha confermato che la dilazione oltre un anno dei crediti prelatizi è possibile, ma solo se i creditori possono esprimere il loro parere sulla convenienza del piano, bilanciando così gli interessi delle parti coinvolte.

 

Concordato Minore e Protezione della Casa

Il Tribunale di Bologna, con sentenza del 23 dicembre 2024, ha ammesso una proposta di concordato minore in continuità diretta (art. 74, comma 1, CCII) presentata da un titolare di ditta individuale. La proposta ha escluso il mutuo fondiariogravante sull’immobile adibito a abitazione principale e sede legale dell’impresa, in base all’art. 75, comma 2-bis, CCII.

In questo caso, l’immobile è stato valutato a 240.000 euro, ma il valore è stato ridotto a 165.000 euro per il forzato realizzo. Il debito residuo era di 157.185 euro, in regolare ammortamento. Il Tribunale ha accettato l’esclusione del mutuo dal passivo, basandosi sull’attestazione dell’OCC.

Cosa significa? La sentenza conferma che è possibile proteggere la propria abitazione principale nel concordato minore, senza compromettere la continuità dell’attività imprenditoriale, se supportato da una corretta valutazione dell’OCC.

In pratica: la possibilità di escludere il mutuo fondiario dal passivo permette al debitore di preservare la propria casa, senza compromettere la continuità dell’attività imprenditoriale, a patto che vi sia una corretta attestazione dell’OCC. Un passo importante verso un equilibrio tra risanamento economico e tutela dei diritti fondamentali.

Concordato Minore e Continuità Aziendale: La Rilevanza della Genesi del Sovraindebitamento

Un’importante sentenza della Corte di Cassazione (n. 2963/2024, del 27 novembre) fa chiarezza su un
tema cruciale: la valutazione della continuità aziendale in caso di concordato minore. La corte ribadisce
che la proposta di concordato in continuità aziendale è inammissibile se non supportata da un’analisi
dettagliata dei costi e ricavi derivanti dal piano quinquennale, che consenta di valutare la sua sostenibilità.
Nel caso esaminato, una s.a.s. che aveva accumulato principalmente debiti tributari ha tentato di proporre
un piano in continuità aziendale, ma senza fornire alcuna evidenza di un’analisi rigorosa sulle prospettive
economiche dell’impresa. In particolare, è mancata la specifica attestazione del gestore che avrebbe
dovuto certificare la fattibilità economica del piano, sostituendosi al giudizio del tribunale e garantendo
un’informazione trasparente ai creditori.
Il comportamento del debitore ha una forte incidenza sulla valutazione della fattibilità del piano. Come
stabilito dalla Cassazione, le cause che hanno condotto al sovraindebitamento sono determinanti nel
giudizio circa l’affidabilità del proponente. Nel caso in esame, la ricorrente non solo ha scelto di
continuare l’attività nonostante il grave dissesto, ma ha anche dimostrato carenza di diligenza nella
gestione dell’impresa, compromettendo ulteriormente la possibilità di risollevare l’attività.
Non basta un piano di concordato per evitare il fallimento; occorre che il piano sia sostenibile, chiaro e
sostenuto da un’analisi realistica della situazione economica e gestionale dell’impresa.